Dovranno scontare cinque anni di reclusione in Germania i due ex manager della Tyssenkrupp condannati in via definitiva il 13 maggio 2016 da un tribunale italiano a 9 e 6 anni rispettivamente per il rogo avvenuto il 6 dicembre 2007, a Torino, in cui persero la vita sette operai. i ricorsi in appello sono stati respinti da una corte distrettuale di Essen che ha dichiarato attuabili le condanne pronunciate in Italia, adeguando la pena detentiva a quelle previste dalla legge tedesca. Dopo la sentenza di oggi, i due ex manager verranno incarcerati in Germania non appena sarà eseguita la sentenza. Gli avvocati annunciano già che ricorreranno ancora al terzo grado di giudizio, come la Cassazione per l’Italia, ma non dovrebbe esserci modo a questo punto di fermare l’esecuzione nel frattempo. Quindi dopo oltre dodici anni anni è arrivato il momento, per l’ex amministratore Harald Espenhahn e per il dirigente Gerard Priegnitz, di scontare la loro condanna, dopo che un anno fa erano stati raggiunti da un ordine d’arresto in Germania in esecuzione alle condanne definitive a nove anni e sei anni e dieci mesi di reclusione. Adesso a pronunciarsi è stata la seconda sezione penale del tribunale regionale superiore di Hamm che ha respinto, in quanto infondati, i ricorsi dei due imputati contro le decisioni del tribunale regionale di Essen del 17 gennaio 2019 e del 4 febbraio 2019, che avevano dichiarato ricevibile l’esecuzione di una sentenza italiana nei loro confronti adeguando la pena alle leggi tedesche.
“Era una notizia che attendevamo da tempo e oggi è arrivata – afferma il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede – quando ho incontrato i familiari delle vittime ho detto che non si poteva pensare di sfuggire alla giustizia italiana semplicemente varcando il confine. Abbiamo seguito molto da vicino tutta la vicenda con la dovuta attenzione, considerato che in Germania come in Italia, la magistratura è indipendente. Per questo mi preme ringraziare gli uffici del ministero, gli uffici diplomatici italiani in Germania e anche chi, in quel paese, ha mostrato sensibilità su questo tema. Ma il mio primo pensiero oggi va ai familiari delle vittime, con cui sono rimasto sempre in contatto, che rivendicavano una risposta di giustizia. A loro va il mio più forte abbraccio“.
“Era una ferita da rimarginare – commenta Raffaele Guariniello, pubblico ministero del caso Thyssenkrupp e ora in pensione – non era giusto. Ma un’altra cosa importante da sottolineare è che la pronuncia dei magistrati di Hamm conferma che il processo Thyssenkrupp fu un processo giusto”.
“Per noi da quella tremenda notte del 6 dicembre 2007 non c’è stato più nulla da festeggiare – dice Graziella Rodinò, mamma di Rosario, uno dei sette operai morti nel rogo – apprendiamo la notizia della sentenza, è un passo avanti ma la vera notizia per noi familiari sarà quando ci diranno che quei due saranno entrati in carcere.Troppe volte sono riusciti a trovare il modo di non scontare la pena. Giustizia sarà fatta quando saranno realmente in galera”.
“La sentenza – afferma Antonio Boccuzzi, ex parlamentare, unico operaio scampato al rogo- è un ulteriore passo in avanti frutto del nostro intervento sulla Corte europea. Unica preoccupazione, più che legittima dopo quasi quattro anni dalla sentenza definitiva, è che possano esistere altre istanze che i due condannati tedeschi possano far valere. L’auspicio è che finalmente il percorso chiuso in Italia nel maggio del 2016 si traduca con l’unico epilogo possibile, che le porte del carcere si aprano per i due manager tedeschi”.
La sentenza della Cassazione italiana era stata pronunciata nel 2016, aveva confermato le condanne inflitte nel secondo processo d’appello di Torino nei confronti dei sei imputati.
Mentre i quattro dirigenti avevano iniziato a scontare le loro condanne lo stesso giorno del verdetto della Cassazione, Espenhahn e Priegnitz erano rientrati in Germania dove, secondo le regole della giustizia tedesca, era necessario verificare che i procedimenti giudiziari italiani si fossero svolti correttamente. Per le loro regole normative, tuttavia, potrebbero dover scontare solo 5 anni, il massimo consentito per l’accusa di omicidio colposo.
Una lunga vicenda giudiziaria, tra atti tradotti e trasmessi più volte, durata quasi tre anni, che più volte aveva portato le autorità italiane a sollecitare quelle tedesche mentre i familiari delle vittime invocavano giustizia.