L'appello di Lalla Quinti condiviso dall'Associazione Il Mondo Che Vorrei ONLUS

Accorato appello di Lalla Quinti per ottenere giustizia e verità per la morte del padre Leonardo

L'accorato appello di Lalla Quinti non è certo passato inosservato all'associazione Il Mondo Che Vorrei ONLUS che naturalmente si schiera al fianco della figlia di Leonardo Quinti. Tutto ciò sottolineando che come da sempre l'associazione va affermando, la cultura della sicurezza sul lavoro, oltre ad essere un diritto, è un valore primario per chi lavora e per chi crea le condizioni di lavoro. 
Di seguito riportiamo i fatti tragici di quell'evento e i successivi risvolti non certo positivi della triste vicenda..

Chiedo solo verità e giustizia per mio padre. Da quel 24 maggio 2016 in cui mio padre è morto sul lavoro, al dolore immane per la sua perdita, si è sommato anche il peso dell’ingiustizia e dell’indifferenza. Da cinque anni chiediamo alla Procura di Arezzo di leggere semplicemente le carte e ci sentiamo rispondere che non gli interessa, il caso è chiuso.

Una vita di sacrifici, prima in Olanda e Germania, poi qui da noi e quel 24 maggio 2016 doveva solo fare un preventivo.

Era stato chiamato dalla Tenuta Vitereta di Laterina, per cui aveva già lavorato, avevano bisogno urgente di mettere a posto una gronda, dato che dovevano riaprire le cantine di lì a breve e invece quel lavoro è stato l’ultimo.

Quando mio padre è arrivato nella Tenuta, gli è stata messa a disposizione una scala non a norma poi abbiamo scoperto dopo dalla relazione degli Ispettori del Dipartimento di Prevenzione della ASL che l’azienda che gestiva Vitereta non aveva neanche il DUVRI, un documento obbligatorio che formalizza le procedure di sicurezza sul lavoro per chi come mio padre lavorava lì in appalto. Ci hanno raccontato che è salito sulla scala da solo, senza nessuno che gliela tenesse e a un certo punto, che è caduto battendo la testa da una altezza di circa 2-3 metri.

C’è la totale assenza degli accertamenti obbligatori per legge davanti ad una morte violenta sul lavoro.

A noi familiari ci hanno liquidato quel giorno con qualche telefonata. “Tuo padre si è fatto male, ha avuto un incidente, è caduto dal tetto”. 

Con mia madre e mio fratello abbiamo cercato di capire per le vie legali cosa stesse facendo la Procura di Arezzo sul caso, abbiamo persino scoperto che aveva tenuto l’indagine “contro ignoti”, quando le responsabilità sulla sicurezza sul lavoro sono identificate in modo chiaro e obbligatorio in ogni azienda. Abbiamo così acquisito la relazione degli ispettori dell’ASL, alcune testimonianze rese, i pochi documenti del fascicolo di questa inchiesta ed eravamo comunque convinti che ci fossero sufficienti elementi per procedere.


 Gli ispettori del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL avevano scritto nero su bianco che quella scala “non era a norma”, quindi non doveva essere tenuta nelle disponibilità dei lavoratori, e che mancava nell’azienda il DUVRI sulle procedure di sicurezza da tenere con i lavoratori in appalto. Era più che sufficiente per procedere contro il datore di lavoro, ma la Procura chiese e ottenne l’archiviazione del caso sostenendo “come l’utilizzo della scala sia stata una iniziativa autonoma dell’infortunato”.

L’11 ottobre scorso abbiamo presentato l’ultima istanza di riapertura abbiamo chiesto nuove indagini indicando le anomalie di questo caso abbiamo presentato una consulenza medico legale dalla quale è emerso che mio padre, cadendo, tentò di attutire l’urto girandosi su un fianco. Per la Procura di Arezzo le “cause del decesso sono state accertate”.

 Il caso era e resta chiuso. 
Non per me. Mi darò pace solo quando avrò ottenuto quanto è dovuto: verità e giustizia per mio padre.... aiutatemi ad ottenerle.